Pensare Ribelle

Il destino di essere custode del proprio fratello più fragile

Giorni fa ho visto “Un volto, due destini”, una miniserie HBO con Mark Ruffalo. È la storia emotiva, familiare, sociale, di due fratelli gemelli omozigoti, uno affetto da schizofrenia. L’interpretazione straordinaria del protagonista che per impersonare il fratello più fragile, imbottito di psicofarmaci, è ingrassato di 13 kg, come se non fossero sufficienti le frasi ossessive reiterate all’infinito, mi ha fatto rivivere situazioni dolorose da una prospettiva diversa.

Si calcola che l’80% della popolazione generale abbia un fratello o una sorella. Sembra che la qualità della relazione fraterna, soprattutto durante l’ultima parte dell’adolescenza, sia indicativa di come sarà nella fase adulta e nella vecchiaia. Il rapporto tra fratelli è importante per la comprensione e condivisione delle emozioni e per il sostegno reciproco. La relazione fraterna è la più duratura in assoluto, inizia con la nascita del secondogenito e continua fino alla morte di uno dei due. È un luogo conoscitivo nel quale approfondire l’interpretazione delle relazioni umane e, in particolare, l’interpretazione dei conflitti.

A differenza di una relazione amicale, i fratelli non si scelgono e molti contrasti terminano spesso con la domanda provocatoria “Chi di noi due è stato adottato?”. La quantità di tempo che i fratelli passano insieme è tanto maggiore quanto più sono piccoli, rappresentando la prima palestra di socializzazione. I sentimenti ambivalenti di ammirazione e invidia, di complicità e gelosia preparano al contatto con il mondo in quanto stimolano a conoscere se stessi, i propri limiti e le naturali inclinazioni. La relazione fraterna è pedagogicamente efficace per entrambi: il fratello più piccolo imita il maggiore comprendendo i fondamenti della socializzazione, il rispetto del territorio personale dell’altro. Di rimando, il fratello maggiore nel confronto con il minore ha la possibilità di apprendere esplorando ruoli diversi ed arrivando a prendere coscienza della propria autonomia. Tutto ciò è influenzato dal contesto familiare, dall’avere un fratello o una sorella, dall’età che li separa. È uno spaccato di quotidiana neurotipicità che viene destrutturata quando uno dei fratelli ha una malattia mentale

La maggior parte dei problemi mentali, ad esempio le psicosi, i disturbi bipolari e la schizofrenia, compaiono nella giovinezza e coinvolgono anche il fratello che si trova a subire una situazione non voluta ricostruendo se stesso, il quotidiano e, spesso, ipotecando il futuro. La salute mentale e il benessere del fratello sano dipendono da una serie di fattori: l’aumento delle responsabilità sia oggettive che soggettive; la perdita del sostegno emotivo, economico e sociale da parte del fratello (si può crescere in fretta o soccombere travolto dagli eventi); il cambiamento di ruolo (essere custode del fratello è una responsabilità che può distruggere); le emozioni intense e conflittuali che devono essere necessariamente rielaborate e superate; le difficoltà interpersonali e, soprattutto, le difficoltà nel cercare di trattare con il sistema della salute mentale, aspetto molto ben descritto nella serie televisiva.

Lo stigma della malattia mentale si aggiunge al fardello emotivo ed economico che il fratello affronta. Egli può trovare comprensione in amici e conoscenti, ma il più delle volte viene ad essere progressivamente allontanato. È anche vero il contrario, ossia che il carico emotivo che il fratello si trova ad affrontare è tale che volontariamente si tiene in disparte e non condivide nulla con insegnanti e amici. E come se tutto questo non fosse più che abbastanza, c’è poi l’atteggiamento ambivalente di amore e odio verso i genitori che, per quanti sforzi facciano, rimangono sempre invischiati nelle problematiche psichiche e relazionali del figlio più fragile. Le crisi psicotiche acute, i deliri irrompono nella tranquillità conquistata a fatica riportando gli attori di questa tragedia familiare a ricominciare daccapo. È forse per tutto questo che, coscientemente, non ho voluto altri figli, decisione che non ho mai messo in discussione neanche ora che mi trovo alle soglie della vecchiaia e vedo le mie amiche essere diventate nonne. Non ho rimpianti, solo un nuovo, inevitabile dolore: quello del dopo di noi.

Lui, insomma, è malato; io sono sano; potrei, se mi stancassi, estraniarmi, chiudermi in una stanza e persino partire, potrei piantare tutto, lasciare mio fratello al suo destino e fuggire. Se non faccio nulla di simile è perché ho scelto liberamente di vivere qui; ma in linea teorica potrei farlo. Ed è importante che io possa pensarlo; è importante che possa fantasticare di vivere altrove (tratto da “Fratelli” di C. Samonà)

Gabriella La Rovere

Redazione

La redazione di "Per Noi Autistici" è costituita da contributori volontari che a vario titolo hanno competenza e personale esperienza delle tematiche che qui desiderano approfondire.

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