Adriano Sofri ha scritto un editoriale su Repubblica dedicato a quelli che definisce: I professori di serie B”. Nell’articolo fa sua la battaglia di molti insegnanti di sostegno per l’ intangibilità del loro ruolo di generici supporti all’inclusione. Per molti di loro crea evidente disagio il cambio epocale che la “Buona Scuola” proporrebbe con l’ abolizione del sostegno “a tempo”, che può fare chiunque, molto spesso per un personale vantaggio. Si propone piuttosto la creazione di una carriera separata per sostegni specializzati, vale a dire formati con specifiche competenze nelle disabilità di cui dovrebbero occuparsi. Anche Sofri esprime una sua netta posizione critica verso tale rivoluzione, sostenendo che la prospettiva di sostegni professionisti preoccuperebbe molti genitori, oltre naturalmente molti insegnanti e pedagogisti.
Che gli insegnanti si preoccupino non mi stupisce, sarebbe la fine di una pacchia che permette a parecchi di loro (non dico tutti) di velocizzare con la scorciatoia del sostegno le loro carriere, facendo finta per un periodo di tempo di avere competenza nel trattare soggetti disabili. I pedagogisti preoccupati li terrei in considerazione ancora meno, probabilmente sono quelli che per mestiere offrono pacchetti di formazione “simbolica” per i futuri insegnanti di sostegno, per interventi sui disabili altrettanto simbolici. Quanto ai genitori preoccupati…Vorrei davvero conoscerli, soprattutto tra quelli che hanno figli con disabilità di tipo cognitivo e relazionale. Mi piacerebbe davvero sapere quanti si stanno preoccupando se mai potesse capitare in futuro di avere assegnato ai loro ragazzi un insegnante di sostegno che sappia, una volta tanto, come comportarsi con autistici e loro derivati. Ancora più spietato è il passaggio dove Sofri scrive che il sostegno non dovrebbe essere “forzato” verso una scelta “irreversibile” tanto che: “se l’insegnante di sostegno scopre di non farcela, di mancare di idee e stimoli, è meglio che possa cambiare, passando alla sua materia, piuttosto che restare nel sostegno per obbligo normativo.” Trovo desolante che un intellettuale che si è sempre fatto bandiera della salvaguardia delle categorie più oppresse, arrivi a sostenere una battaglia corporativa per difendere un privilegio acquisito, di fronte alla prospettiva di un bambino disabile che ha nella scuola la sua maggiore chance di affrancarsi il più possibile da un futuro di emarginazione sociale.
Occuparsi di un ragazzo come il mio caro Sofri non è una simpatica esperienza da provare per sentirsi migliori, non è come un corso di Tai Chi o qualche giorno di volontariato in periferia. Soprattutto non deve occupare un insegnante a patto che riesca a suscitare idee e stimoli, salvo poi mollare tutto quando si accorge di non essere adatto a quel lavoro. Parlo dei disabili che conosco per mia personale esperienza che sono gli autistici, sono anche quelli che maggiormente affollano le classi delle scuole italiane, posso dirti con sincerità che noi genitori sono anni che speriamo di incontrare insegnanti di sostegno che abbiano anche solo una minima idea di cosa sia la sindrome che è toccata ai nostri figli.
Ma quali idee e stimoli? Ci basterebbe avere a che fare con persone che abbiano seriamente studiato come trattare l’autismo e che siano capaci di esser tramiti reali tra le difficoltà dei nostri figli e la classe di neurotipici in cui sono inseriti. Non ne possiamo più di telefonate a casa perché il ragazzo è agitato, di vedere i nostri figli buttati in un corridoio, in un cortile, di dovere essere noi a spiegare, a convincere, a pregare come fosse una carità di non tenere i ragazzi in parcheggio durante l’orario scolastico con la scusa che nessuno sa esattamente come comportarsi con loro. Ci sono tantissime persone capaci, che hanno studiato, che questo fanno per passione e sono convinti che sia il mestiere della loro vita. Assumete questi nelle scuole e vedrete che l’ inclusione smetterà di essere, almeno per noi autistici, solamente una bella legge di cui essere fieri. Se non abbiamo un sostegno specializzato professionalmente, e di continuo aggiornato, nostro figlio sarà sempre visto come un disturbo, un impiccio al lavoro di classe. Nella migliore delle ipotesi sarà tollerato per misericordia, ma sempre con estrema umiliazione per lui e per noi.
E’ possibile che a fronte di un tema così estremo, come l’esistere sociale di esseri umani venga, considerata prioritaria la soddisfazione sindacale dei professori? In realtà le famiglie sono così sfibrate dalla gestione quotidiana, come dalla loro battaglia per la sopravvivenza, che nemmeno hanno voce per farsi sentire. Tutta questo dibattito sembra passare sopra la loro testa, anche il raffinato editoriale che vorrebbe convincerli che le aspirazioni professionali della categoria degli insegnanti è più importante della vita dei loro figli. Siamo stanchi di tollerare che i nostri ragazzi disabili siano il pretesto per giustificare la presenza in classe d’insegnati svogliati, che non nascondono nemmeno d’essere costretti a sopportarli. Non dico che non ci siano moltissimi di loro che sono invece animati da ottime intenzioni, ma anche in quel caso non hanno strumenti professionali adatti per intervenire dove non basta il buon cuore. Un educatore per essere formato ha bisogno di anni di studio e di continue verifiche, non basta un corso mordi e fuggi.
Sofri poi appoggia il suo giudizio sulle tesi della professoressa Daniela Boscolo di Rovigo (la migliore prof del mondo), sicuramente un’eccellenza in campo nazionale per i suoi fantastici progetti d’inclusione, ma che lascia di stucco quando dice: “Noi siamo docenti, la scuola non è un ospedale né un centro diurno come qualcuno vorrebbe diventasse, con l’insegnante specializzato trasformato in una specie di balia con l’unico compito di contenere la persona con disabilità”. Mi rende orgoglioso d’essere italiano leggendo che la Fondazione Varkey abbia inserito la prof Boscolo fra i “50 migliori insegnanti del mondo” -come l’amico Adriano ci ricorda- ma le sue parole mi feriscono a sangue, assieme a me immagino risultino odiose anche alle seicentomila famiglie con un soggetto autistico a carico. Penso che saremmo in molti a voler chiedere alla professoressa Boscolo (oggi docente di insegnanti di sostegno) cosa secondo lei debba fare allora la scuola per “contenere” i nostri figli che sono autistici a “basso funzionamento”, non parlano, non sono interessati generalmente alle lezioni scolastiche, possono avere crisi oppositive. Possono solo essere parcheggiati, a meno che farli trattare da educatori esperti in analisi del comportamento che sappiano addestrarli alla relazione con metodo e pazienza. Altrimenti la risposta non può essere che una- teneteveli a casa perché nella scuola pubblica non c’è posto per loro, ci sono tanti meravigliosi insegnanti pieni di titoli, di verve, di stimoli, di progettualità, di apertura al nuovo…Ma purtroppo nessuno che abbia studiato come si tratti un autistico, ci dispiace-.
Devo ancora una volta concludere che, quando si parla di autistici e similia, l’atteggiamento radikal salottiero fa la pari con il peggior clerical bacchettonismo. Mi cade a proposito mentre scrivo la notizia del Vescovo, anche lui a Rovigo, che ieri ha chiesto di allontanare un ragazzo disabile dalla chiesa perché, in un momento d’euforica felicità, secondo il presule disturbava la funzione liturgica dei cresimandi. Sia che venga da illuminati pedagoghi, che dall’ammuffita spietatezza di un prete all’ antica il messaggio resta uno solo: qui non c’è posto per voi!
E quindi ancora una volta noi autistici dobbiamo sentirci più profughi di ogni categoria di profughi. Non importa alla fine qualcosa c’inventeremo, il nostro sguardo bislacco avrebbe fatto bene anche a voi, oramai non più capaci d’ inventarvi qualcosa che non abbia quell’odorino di vecchi abiti conservati in naftalina.
ps
Per favore questa volta gli indignati e code di paglia evitino le solite roboanti proteste per chi come me “getta fango sulla categoria”. Chi si sente fuori dalla congrega dei sostegni furbacchioni stia tranquillo ha tutta la mia stima e affetto ed eviti le difese di categoria. Quando sento dire o leggo che molti giornalisti fanno male il loro lavoro non mi offendo, penso che possa essere vero, ma bado a fare al meglio e seguire l’ esempio dei miei migliori colleghi.
Sono perfettamente d’accordo con Gianluca. Non è più tollerabile che il nostro Paese impieghi più risorse materiali ed umane di ogni altro Paese del mondo per il sostegno e l’educazione degli alunni con autismo, 25 ore settimanali in rapporto individuale, ottenendo risultati così modesti. Questo disastro è provocato dalla mancanza di specializzazione e di continuità didattica. Entrambe vengono garantite dal disegno di legge sulla Buona scuola, che contiene testualmente il disegno di legge sull’inclusione scolastica, concordato fra le due grandi federazioni nazionali delle associazioni di persone con disabilità (FISH e FAND) ed il MIUR. Chiediamo che venga approvato senza nessuna modifica, vincendo le resistenze corporative di una parte degli insegnanti.
Carlo Hanau
Direttore di un master di specializzazione sull’autismo dell’UNIMORE che in 5 edizioni ha contato 2.500 iscritti, dimostrando la disponibilità di tanti insegnanti a formarsi senza avere nessun incentivo economico o di carriera, per puro amore della loro missione.
Dire che quanto scrive “mi piace” é troppo poco. Sono insegnante di lettere e mamma di un bambino disabile di 3 anni. Da professionista e da genitore condivido ogni sua affermazione. Pertanto il mio non é un commento, ma un grazie.
Come insegnante di sostegno concordo sul fatto che occorre preparazione ad hoc per i vari casi di disabilità e continuo aggiornamento… Nuove scoperte riguardo alla disabilità e nuove tecniche e metodi e’ doveroso apprenderli… L’ignoranza, la non competenza genera paura in noi e negli alunni …. Ricordiamo che noi insegnanti siamo il tramite per un futuro più autonomo possibile
Perfettamente d’accordo. Sono insegnante e padre di un bimbo autistico. Avere personale specializzato nelle scuole non serve, come alcuni colleghi sostengono, a trasformare le scuole in centri diurni o di terapia. Serve a fare bene ciò che si fa con tutti gli altri bambini: socializzazione, inclusione, crescita, ognuno in funzione delle sue possibilità. Occorrono docenti specializzati per far emergere le possibilità e per aiutare il gruppo classe a realizzare un progetto realmente inclusivo. Non sono contro gli insegnanti di sostegno, sono contro quegli insegnanti che pensano non sia necessario studiare ed aggiornarsi per fare bene il proprio dovere. Sono necessarie le carriere separate: chi vuole fare il sostegno, e ci sono tantissimi docenti che lo fanno con grandissima passione e dedizione, deve considerarlo un lavoro continuativo, Liberi di cambiare – vale a dire “cambiare lavoro” – ma non a spese di bambini che già pagano un prezzo altissimo. Un insegnante poco motivato in un momento decisivo per un bambino o un ragazzo non neurotipico, può avere conseguenze deleterie: chi non la vive sulla propria pelle, difficilmente potrà comprendere la quotidianità delle famiglie e le mille difficoltà che sono costrette ad affrontare. E ogni tanto anche io mi ascolto mentre dico che alla fine qulacosa ci inventeremo.
Condivido. Io sn insegnante curriculare ma vorrei essere insegnante dei sostegno. Ho studiato musicoterapia ad assisi e sto seguendo il master con il prof hanau. ho l abilitazione per la scuola primaria e seguo corsi di inclusione scolastica nella scuola primaria. Purtroppo questi titoli nn sn sufficienti per entrare in graduatoria, si richiede il tfa il cui bando nn é ancora stato pubblicato. Nel frattempo mi “imbatto” con insegnanti di sostegno che spesso nn conoscono neanche le diagnosi dei loro allievi e che, parcheggiano, cosi come lei ha descritto, in attesa di “migliore” destinazione…. Come fare?
Sono insegnante da 37 anni e sono padre di un giovane autistico di 25: condivido in pieno le considerazioni e la denuncia di Nicoletti e di Hanau. ERA ORA che si dicesse una parola chiara sul sostegno.Bene la Buona Sscuola. Ora alla legge seguano i fatti!
Condivido l’indignazione di Gianluca ci sono alunni di seri B che non meritano una preparazione adeguata. Sofri ci presenti le famiglie che concordano con l’impreparazione degli insegnanti in materia di pedagogia speciale.
io quest’anno sono stata fortunata… ma il prossimo? un baluardo di certezza e continuità ci vorrebbe. siamo alla mercè di chi ha buona volontà che pultroppo scarseggiano ogni giorno di più
Il compito degli insegnanti é quello di insegnare, ossia trasmettere conoscenze.La scuola é il luogo dove vengono trasmesse le conoscenze e dove un bambino e,poi, ragazzo le acquisisce. La scuola non deve essere trasformata in un istituto per disabili e non si deve obbligare un insegnante a diventare un educatore per disabili, con tutto il doveroso rispetto dovuto anche a tale figura professionale, come a ogni lavoratore. E’ inaccettabile che si voglia snaturare la natura di una professione.A quando, allora, l’obbligo per i camerieri a imboccare gli invalidi fisici? Che si faccia inclusione anche nei ristoranti!Bisogna capire che certe patologie presentano caratteristiche tali che impediscono l’inclusione.E’ pura ipocrisia fare finta che tutto sia possibile dappertutto,quando i genitori stessi sono massacrati dai figli che non riescono a gestire, ma all’insegnante si butta sempre la croce addosso!Se tutti devono essere inclusi dappertutto, perché gli autistici non furono inclusi nella bella redazione di Guerzoni, dove tanti giovani giornalisti si fecero le ossa?
RISPONDO
E’ proprio da insegnanti come lei che dobbiamo difendere i nostri figli, che hanno diritto alla scuola come ogni altro cittadino. E’ talmente rozzo e livoroso il suo argomentare che non merita altro commento. Cosa c’entri il mio lavoro alla radio di 30 anni fa con gli autistici non è dato di saperlo….
Sono in pieno accordo con l’articolo di Nicoletti io ho un figlio autistico di 44 anni e se a scuola avesse avuto un sostegno preparato sicuramente il suo percorso scolastico sarebbe stato meno doloroso nonostante alcuni successi. Spero che la legge venga approvata e avrà il mio pieno appoggio per quello che posso fare
Non si può che essere d’accordo sulla scarsa specializzazione di certe insegnanti di sostegno. Bene entusiasmo, volontà, spirito innovativo, ma se non sono supportati da studi e aggiornamenti finiscono con lo svuotarsi a scapito, come sempre, dei soggetti più deboli.
Fruire delle stesse opportunità non significa esser trattati tutti con gli stessi parametri che non garantiscono alcuna inclusione.
Condivido pienamente anch’io e ho fiducia nella buona scuola, deve passare quel disegno di legge. Bisogna abbattere questi muri, o meglio muli, per fortuna c’è altrettanta gente che fa bene il suo lavoro e si concentra sul migliorare se stessi e gli altri.
caro Gianluca hai centrato benissimo l’argomento e hai dato voce (come spesso fai) a noi genitori che hanno un figlio autistico. personalmente ho risposto al quotidiano La Repubblica a nome di 700 famiglie invocando una legge che al contrario di Sofri trovo buona, non per gli insegnanti (forse) ma per i bambini e ragazzi con autismo. E’ un’indecenza che si continui a tutelare la categoria degli insegnanti di sostegno a scapito dei soggetti più fragili in assoluto come sono gli autistici. Non possiamo continuare a vantarci di una legge di integrazione scolastica come la nostra, quando la realtà che vivono da anni i nostri figli è totalmente diversa e lontana anni luce dalla vera integrazione. Non ho letto nessuna proposta dai difensori della categoria degli insegnanti per migliorare la qualità di vita dei nostri figli all’interno della scuola. Se per loro l’inadeguatezza del sostegno è tollerabile, per noi non lo è più, e allora ben venga il cambiamento! grazie Gianluca!! Benedetta Demartis
Tutto giusto, ai politicanti e sindacalizzanti tutto il nostro disprezzo ma forse resta ancora un margine a quelli di buona volontà per lottare e per tentare di modificare in primis la Sanità pubblica che non vuole capire cosa realmente serve alle persone autistiche e poi la scuola che per essere per costituzione di tutti deve farsi carico nello stesso modo dei geni e dei poveri sia di tasca che di mente. E i soli che possono lottare per legittima difesa sono i genitori, tutti gli altri, salvo pochi, lo fanno part time o per beneficenza o peggio per compassione o diabolicamente per puro interesse.
Quello che rende orgogliosa me di esser italiana e che ci siano persone come lei capaci di avere il coraggio delle proprie idee e che siano lontani anni luce dal buonismo stucchevole che appiattisce le coscienze che rende disumani, per gli uomini sempre politicamente corretti ma umanamente scorretti servono persone come lei e chissà che con le sue parole non possano ritrovate il loro cuore questi moderni uomini di latta in un paese che non è Oz.Grazie perché ogni giorno fa sua la lotta per i nostri figli ,loro si che un cuore lo hanno!
Bravo e grazie di cuore!!! Perché non pubblicano anche quanto da Lei scritto su Repubblica per dare voce anche ai diretti interessati??
Buonasera,
sono genitore di un ragazzo con disabilità.
Lo dico all’inizio visto che alcuni, fra cui lei Nicoletti, lo ritengono un elemento discriminante sulla possibilità di prendere parola, che sia non corporativa.
Io non sono d’accordo con questo assunto, ma in ogni caso ho lo status per poter parlare, anche se questo assunto valesse.
Sono interessato come lei e le altre persone che sono intervenute anche qui commentando il suo articolo allo sviluppo di un’inclusione piena e di qualità dei bambini e ragazzi con disabilità nella scuola di tutti, consolidando le prassi positive e correggendo gli elementi problematici.
Personalmente questo passaggio della separazione delle carriere per il sostegno, presente nella legge delega prevista dalla cosiddetta riforma della buona scuola, mi preoccupa molto.
E’ decisamente ortogonale a quanto in questi anni, nelle diverse situazioni a cui ho partecipato e condiviso, dagli organi collegiali della scuola, dalle letture, dalla partecipazione alle diverse edizioni della conferenza sulla qualità dell’integrazione scolastica e sociale, dai lavori nel Glip, dalla partecipazione ai tavoli locali della 328, dal confronto associativo, si è cercato di promuovere, una cultura dell’inclusione diffusa a tutto il corpo docente.
Nell’Istituto comprensivo che a suo tempo è stato frequentato dai miei figli, e in cui ho fatto parte del GLHI, si è sperimentata anche una forma di docenza condivisa, di “doppia cattedra”, in cui l’insegnante di sostegno si proponeva alla classe, per una parte del suo orario, anche come insegnante disciplinare, proprio per favorire il suo riconoscimento come insegnante della classe, elemento che non viene certo introdotto ora da questa legge delega, ma che è da decenni nel nostro sistema legislativo. Come tutti sappiamo.
Si trattava di una semplice sperimentazione, altre più strutturate sono state sviluppate nel nostro Paese. Sia pure con sempre maggiore difficoltà per il disinvestimento progressivo, per i tagli operati in modo pesante e indiscriminato. Non è certo necessario che mi dilunghi su questo, ciascuno di voi può aggiungere conoscenza e specifiche esperienze al riguardo.
La separazione della formazione e dell’esercizio del ruolo di sostegno mi sembra prefiguri uno scenario completamente diverso.
Da una discussione in atto da anni sulla figura dell’insegnante di sostegno, da ipotesi che hanno considerato anche un suo superamento a favore di una competenza più diffusa dell’intero gruppo docente, si va qui a cristallizzarne la figura, col rischio, a mio parere facilmente rinvenibile, di aumentare la delega, dove invece questo, sempre a mio parere, è uno dei problemi maggiori.
Pur dentro un quadro che ha delle proposte interessanti, proprio riguardo la formazione degli insegnanti curricolari e sul numero massimo di studenti di una classe in cui sia presente un alunno con disabilità.
C’è nella proposta di legge in questione, almeno nella rappresentazione di alcuni sostenitori e dello stesso sottosegretario Faraone, la pretesa che l’insegnante di sostegno sia “esperto sulle patologie”, piuttosto che spingere sulla necessità di partecipare con l’intero gruppo docente alla progettazione inclusiva dei contenuti e delle modalità con cui proporli. Lasciandosi sedurre dall’idea che si possa specializzarsi in patologie, come dire che esiste una didattica per la sindrome di Down, o una per gli autismi.
C’è, anche, un problema di conoscenza tecnica insufficiente, dell’intero corpo docente? Sì, su questo credo si debba riconoscere di sì.
In questo senso conosco, come immagino molti di voi, i tirocini formativi attivi, in uno dei quali ho avuto occasione di partecipare, portando un contributo sulla comunicazione aumentativa.
Ho potuto constatare la partecipazione attiva e impegnata dei docenti e considerare l’impegno complessivo a loro richiesto, anche in termini di tempo, centinaia di ore.
Mi è sembrato un elemento molto interessante di evoluzione del sistema formativo, che va nella direzione giusta, di approfondimento anche tecnico, anche molto specifico, mantenendo però l’attenzione all’insieme.
Non mi sembrava che quegli insegnanti stessero percorrendo corridoi preferenziali. Anzi.
In ogni caso, se da una valutazione complessiva si ricava che 5 anni di permanenza minima sul sostegno sono insufficienti per l’equilibrio del sistema,
si possono valutare laicamente forme di disincentivo al cambiamento di ruolo, o di vincolo maggiore, ma a mio parere evitando nella comunicazione di individuare gli insegnanti di sostegno come categoria abietta.
Come elemento dialettico sono andato ad ascoltare il punto di vista di Dario Ianes sulla proposta di legge C2444 di Fish e Fand e sulla “buona scuola” e mi trovo in sintonia con i suoi accenti, pacati, ma decisi, contro questa ipotesi di separazione. Certamente a favore della qualità dell’inclusione e della preparazione dei docenti, ma in senso più diffuso.
Ho naturalmente rispetto per le posizioni diverse dalla mia, anche della sua Nicoletti.
Riconoscere dignità ad argomentazioni avverse mi sembra la base minima per poter individuare la soluzione migliore possibile.
Ritengo invece scorretto rappresentare le posizioni diverse dalle proprie banalizzandole, come mi sembra abbia fatto lei in questa sua replica a Sofri.
E l’utilizzo di parole quali criminoso per descrivere l’atteggiamento di chi sostiene argomentazioni avverse a questa parte della proposta di legge.
Probabilmente il registro aggressivo che ha scelto qui e in altri interventi sul tema le guadagnerà il consenso di alcuni.
Personalmente ritengo questo registro un elemento a sfavore della sua tesi.
Antonio Bianchi
RISPONDO
oddio che Sofri si possa turbare per il mio tono “aggressivo” lo ritengo improbabile, lui scrive sul primo giornale d’ Italia e io rispondo da un piccolo blog personale che leggono quattro gatti…Sofri inoltre ha conosciuto ben altre aggressioni nella sua storia personale per sentirsi scalfito dal mio pezzullo. Piuttosto legga senza pregiudizio quello che ho scritto non giudico criminoso il punto di vista ma l’anteporre la soddisfazione sindacale dei sostegni che si sentono “minoritari” rispetto al benessere dei ragazzi che giustificano la loro presenza. Trovo il suo editoriale “spietato” tutto qui. Per il resto conservo la mia opinione e lascio spazio alla sua. (GN)
sono insegnante di sostegno e lavoro in psichiatria da molti anni, sono d’accordo sulla centralità delle competenze specifiche per ottenere risultati in questi ambiti. Credo che la via da imboccare sia quella della specializzazione dell’insegnante di sostegno. Per un intervento efficace non basta un’abilitazione. Si tratti di autismo o dsa l’insegnante a cui viene affidato l’incarico dovrebbe avere una preparazione specifica. Forse nel tempo un buon gruppo di lavoro potrebbe costruire buone prassi nelle scuole e i genitori dei ragazzi trovare lì dei punti di riferimento. Mi sembra che la riforma vada nella direzione giusta.
sa che non ho capito cosa lei voglia dire? Resto della mia opinione e lascio spazio alla sua.
Ringrazio sinceramente dello spazio accordato, non è mai scontato.
Rispetto al mio commento: non mi sembra di essere stato criptico.
Ho cercato di argomentare perchè secondo me la separazione delle carriere risponde in senso sbagliato a un’esigenza, che sento anch’io, di maggiore inclusione, reale e non solo dichiarata, nella scuola italiana.
Riguardo alla modalità dell’argomentare ho sostenuto che l’operazione di screditare la posizione avversa con dispositivi dialettici come quelli da lei utilizzati, e con il lessico da lei utilizzato, qui, su Vita e su La Stampa, è una modalità che non aiuta a trovare soluzioni.
La saluto.
oddio che Sofri si possa turbare per il mio tono “aggressivo” lo ritengo improbabile, lui scrive sul primo giornale d’ Italia e io rispondo da un piccolo blog personale che leggono quattro gatti…Sofri inoltre ha conosciuto ben altre aggressioni nella sua storia personale per sentirsi scalfito dal mio pezzullo. GN)
E’ evidente che chi viene colpito dal suo argomentare – a mio parere – aggressivo non è certo Adriano Sofri, ma la qualità della discussione in sè. Che viene trascinata su toni di scontro verso un “nemico cattivo” invece che restare sull’oggetto delle proposte, con i pregi e le criticità che i diversi sguardi rinvengono.
Un saluto,
Antonio Bianchi
L’argomentazione che la separazione delle carriere fra docenti di sostegno e docenti curriculari danneggerebbe l’integrazione scolastica francamente e’ risibile…sono trent’anni che le due carriere sono intercambiabili e dove sono i benefici sull’integrazione degli alunni certificati? hanno dati da portare che dimostrano questi benefici?Sarebbe piu’ onesto da parte degli insegnanti di sostegno dire che vogliono fare i sociologi interessati agli aspetti ideologici della disabilita’ma che non hanno interesse per la formazione in pedagogia speciale, come risulta dal fatto che la confondono con la “medicalizzazione”
Caro Nicoletti, la tua lucida comunicazione ti assicuro sta aprendo breccie anche in chi non vive la realtà di un familiare autistico.
Da Shopler in poi la figura dell’educatore specializzato sull’autismo sembra passata in tutto il mondo, tranne che in Italia dove si fa filosofia-pedagogica per giustificare le cattive prassi e la maggior parte degli incapaci insegnanti di sostegno…poi certo la scuola si deve riprogettare (tutta) se vuole davvero integrare e tutti gli insegnanti devono programmare la loro attività e la loro azione didattica a tale scopo senza delegare…io in una scuola del Sud ci sto da 37 anni ed ho un figliio autistico di 25 anni e ribadisco che Nicoletti ha pienamente ragione e, come tutti noi, ha pienamente diritto di essere “aggressivo”
Non ho capito una cosa: secondo lei al posto degli insegnanti di sostegno dovrebbero esserci degli “educatori esperti in analisi del comportamento che sappiano addestrarli alla relazione con metodo e pazienza”, oppure che ci dovrebbero essere due figure complementari, oppure ritiene che “addestrare” alla relazione dovrebbe essere una delle competenze imprescindibili degli i.d.s.? Ad ogni modo l’insegnante (di inglese, di matematica, di sostegno) è anche un educatore, ma innanzi tutto un insegnante. L’aspetto che lei mette in luce è fondamentale ma non può esaurire la funzione dell’insegnante di sostegno. Va anche detto che in molte classi insegnante di sostegno ed educatore specializzato si alternano.
Ho letto con attenzione l’articolo e mi trovo completamente in sintonia con quello da lei scritto. Aggiungo solo un altro aspetto: da Psicologa che fa consulenza, da almeno trent’anni, anche in realtà che si occupano (con cura e professionalità) di ragazzi e adulti con disabilità le più diverse, non posso che sottolineare l’importanza di insegnanti preparati, perché necessario anello -anzi sensibile e insostituibile anello- nei processi educativi, formativi, di riabilitazione e sviluppo
. Spesso abbiamo assistito all’impossibilità di continuare e sviluppare tali processi evolutivi per estrema difficoltà d’incontro con insegnanti, oppure a straordinarie collaborazioni che non hanno potuto continuare per cambiamenti continui del personale insegnante.
Storicamente, l’istituzione degli insegnanti di sostegno è stata un grande avvenimento, rivoluzionario, ma avveniva dopo e forse avendo in mente la realtà allora esistente fatta di insegnanti ‘speciali’ che davvero erano preparati, così fecondi da ‘insegnare’, con la loro presenza intelligente, anche ai loro colleghi ‘di classe’. Ciò si è perso nel tempo e la presenza di attivi e preparati insegnanti di sostegno si è stemperata spesso in un magma di fatiche e difficoltà per tutti: ragazzi, genitori, insegnanti e operatori.
La scuola, per la sua durata, ricchezze e caratteristiche relazionali e precoce età d’inizio è stata già da tempo definito ‘ambiente naturale’. Ma cosa dire, che cosa suggerisce un’ambiente naturale’ che può anche sacrificare -a se stesso- intelligenza e conoscenze a necessità istituzionali?
Insegno da 32 anni nella Scuola Primaria e rivesto il ruolo di tutor. Il carico disciplinare e brocratico è diventato insostenibile. Nonostante tutto, continuo ad aggiornarmi per attuare nuove strategie didattiche con l’obiettivo si suscitare nei bambini l’amore per la scuola, per la cultura e la conoscenza. Oltre ai corsi obbligatori di formazione, mi dedico all’autoaggiornamento. Ho competenze musicali e di lingua straniera.
Ho appena terminato un altro ciclo di insegnamento. E’stata inserita nella classe una meravigliosa bambina diversamente abile per mia fortuna e per quella dei suoi compagni di classe. Spesso ho programmato unità di apprendimento che hanno coinvolto gli alunni disabili delle classi parallele. La piccola è stata seguita da due insegnanti di sostegno…. A malincuore devo affermare che per ogni approccio didattico,(non solo con i bambini diversamente abili) bisognerebbe chiedere la certificazione delle competenze. La maggior parte delle volte gli insegnanti di sostegno rivestono il ruolo di semplici assistenti, limitandosi a seguire la programmazione della classe o eseguire attività senza alcuna finalità didattica. Purtroppo, alcuni di loro presentano vistose lacune nella preparazione di base, che ne condizionano negativamente l’impegno professionale.
La ringrazio per quanto ha scritto.
Sono un’insegnante di sostegno e un’insegnante curriculare, sono un’insegnante punto e basta. In Italia è dagli anni 80 che si parla di inserimento/inclusione, c’è un a legge che prevede ciò. All’inizio c’era molto entusiasmo e molta voglia di riuscire, molti investimenti umani e finanziari . Dopo un po’ di tempo s’incominciò a parlare di INSERIMENTO SELVAGGIO dove il termine selvaggio stava a indicare la scarsa preparazione di TUTTI nell’affrontare la complessità dell’handicap ( termine allora utilizzato …) e la scarsa propensione a capire come migliorare la situazione . La scuola italiana si era imbattuta in un progetto al di sopra delle sue capacità ( finanziarie e umane). Pian pianino si è incominciato a “tagliare”fondi e risorse, a non riconoscere più la necessità di spendere per le disabilità trasformando l’inserimento in un “parcheggio”, tanto da far dire a tanti insegnanti la fatidica frase “era meglio quando si stava peggio” ossia erano meglio gli istituti almeno lì la disabilità era riconosciuta come tale..terribile conclusione, ma realistica. Vediamo in dettaglio i problemi. Ricordiamoci che nel resto del mondo ci sono ancora gli istituti e le classi speciali, quindi il nostro intento è ottimo e all’avanguardia. Gli insegnanti e i genitori non devono essere però gli unici attori dell’inserimento. Ci vogliono specialisti che supportino il lavoro della scuola e della famiglia. È impensabile che un insegnante si possa specializzare in maniera ottimale su tutte le disabilità che sono molte e devono essere rispettate per le loro complessa specificità. Quali specialisti sono necessari? Prima di tutto psicologi, psicoterapisti, logopedisti, neuropsichiatri, neuro psicomotricisti, fisioterapisti, pedagogisti clinici … che siano disponibili a supportare la scuola, ma non con incontri saltuari e risicati ( nella mia regione sono previsti ben 2 incontri annuali di mezz’ora ciascuno con l’équipe, uno all’inizio e uno alla fine dell’anno scolastico e guai a chiederne uno in più), ma con interventi /supporto costanti che coordino il lavoro scuola e famiglia che ascoltino insegnanti e genitori che facciano proposte non fantomatiche o banali , ma realistiche e sperimentabili: l’insegnante è l’esperto di didattica e gli operatori socio sanitari sono gli esperti della specificità dei ragazzi disabili, è impensabile lavorare separatamente. A questo punto potrebbero nascere poli specifici dove attingere risorse e materiale facilmente fruibile. Si potrebbero mettere insieme esperienze per migliorare le prassi scolastiche /familiari. Sicuramente l’inclusione potrebbe prevedere “percorsi misti” per gli studenti qualora fosse necessarie per alcuni di essi esperienze riabilitative e didattiche al di fuori della scuola, ma coordinate e volute dalla stessa. Ci vogliono soldi, tanti soldi, lo so e con i tagli alla sanità e alla scuola e a tutto e a tutti mi viene già a priori lo sconforto. Siamo ancora molto lontani dalla realizzazione ottimale dell’inclusione voluta negli anni 70/80. Le leggi “tampone” servono appunto a “tamponare” o se meglio a illudere che si risolveranno le cose .